Viaggio all'interno di MIA Photo Fair 2024 - Ultima puntata
di Roberto Mutti
Arrivando all’ultima puntata di questo nostro viaggio all’interno di MIA Photo Fair 2024 abbiamo la sensazione di esserci persi qualcosa, sensazione molto comune quando ci si trova di fronte a un’offerta così ampia da non poter essere totalmente soddisfatta.
Lasciamo dunque da parte ogni remora e fermiamoci su alcuni aspetti della fiera che ci hanno particolarmente colpito a partire da “La forma delle relazioni”. Curata da Rita Cerbarano, è una mostra che si snoda sulle pareti di un allestimento creato dal noto studio architettonico Lissoni & Partners posto al centro dello spazio fieristico. Le 50 fotografie di grandi autori internazionali, da Luigi Ghirri a Maurizio Galimberti, da Edward Weston a Graciela Iturbide non sono accomunati da un tema comune ma dal fatto di far parte di importanti collezioni private. Una bellissima idea per un luogo frequentato da chi quella collezione pensa prima o poi di crearsela.
Edward Weston, collezione privata
Maurizio Galimberti, collezione privata
Alla ricerca delle novità ci siamo trovati all’interno del percorso creato da Risha Paterlini che, con il titolo programmatico di “Oltre i confini del Mediterraneo”, ha voluto indicare quel contatto fra le civiltà che su quel mare si affacciano e che nei tempi è stato occasione di scambi economici, culturali, linguistici, artistici.
Avremmo voluto dilungarci su Andres Peterson e su Dimitra Dede presentati dalla galleria napoletana Spot, sulle tante artiste iraniane presenti – da Darlush Nehdaran a Sepideh Salheni a Tahmineh Monzavi che ribadiscono la loro doppia esigenza di libertà come donne e come esponenti dello spirito dell’antica civiltà persiana.
Ma poi è stata la cronaca a fare irruzione nel salone: nella mattina in cui le armi avevano ancora una volta drammaticamente solcato il cielo del Medio Oriente, due fotografi legati da grande amicizia personale e che il caso aveva voluto esponessero in due stand confinanti hanno dato vita a una performance dal grande valore simbolico. Il fotografo iraniano Ramak Fazel ha disegnato su una parete il segno che una sega circolare ha seguito fino a creare una breccia e un collegamento con lo spazio dove esponeva l’israeliano Michael Ackerman. Quel buco da cui Fazel si è affacciato è diventato così il simbolo di un momento di riflessione e la performance l’occasione per ricordare di come l’arte sappia rapportarsi con la realtà più spietata come quella che in questo periodo stiamo conoscendo senza l’illusione di cambiarla subito ma con la speranza di contribuire a farlo nel futuro.
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